Il Monte Fenera:
un unicum naturalistico e culturale nel settore Centro-Occidentale
delle Alpi
Roberto
Fantoni (CAI Varallo, Società Valsesiana di Cultura,
Zeisciu Centro Studi) Il Fenera è
senza dubbio Il Monte
Fenera costituisce l’unico massiccio carbonatico presente sul
versante meridionale delle Alpi centro-occidentali. Ad ovest del lago
Maggiore la copertura sedimentaria delle Alpi Meridionali è
infatti ridotta a pochi lembi di limitata estensione e di scarsa rappresentatività
seriale (Fantoni et alii, 2004; questo volume, pp. 86-91). La presenza
di un sistema carsico con grotte ha permesso la frequentazione di
animali (Santi et alii, questo volume, pp. 223-229, con bibliografia)
e dell’uomo dal Paleolitico (Lo Porto, 1957; Guerreschi &
Giacobini, 1998b; Strobino, 1981, 1997; Villa & Giacobini, questo
volume, pp. 234-238, con bibliografia). Dal Neolitico la presenza
umana è stata quasi costante (Gambari, questo volume, pp. 230-233).
Ed anche quando la presenza umana sul monte ha perso le sue peculiarità,
annullandosi nel resto del territorio dei monti di Seso (Bonardi,
1997; Gandino et alii, 1999), il monte e le sue grotte hanno sempre
continuato a costituire una presenza mitologica per le popolazioni
locali (Manini Calderini, questo volume, pp. 239-255). L’evidenza morfologica del Monte Fenera, la sua peculiarità geologica e le sue testimonianze preistoriche vi hanno attirato i primi ricercatori locali. Il primo studio geologico in cui esso è citato risale al 1838. All'inizio del Novecento si potevano già contare cinque studi monografici sulla geologia di questo monte ed altre sei opere di carattere regionale che si erano estesamente soffermate su queste serie (Fantoni, questo volume, pp. 44-52). Allo stesso periodo risale la prima esplorazione speleologica del sistema carsico, auspicata da Pietro Calderini sin dal 1868 (Cossutta, questo volume, pp. 175-189), che proseguirà ininterrottamente sino ai nostri giorni (Cossutta & Ghielmetti, questo volume, pp. 189-200). Nella seconda
metà dell’Ottocento, in una società in grande
fermento culturale (Barbano, 1960; Cagna, questo volume, pp. 28-30),
il Fenera ha attirato l’attenzione dei naturalisti locali (Fantoni,
questo volume, pp. 44-52). Un ruolo centrale in questa scoperta ha
avuto Pietro Calderini, un personaggio estremamente eclettico nato
e vissuto alla base del monte (Fantoni et alii, Bonola, questo volume,
pp. 30-40, 41-43). L’interesse verso il monte ha avuto un rilancio negli ultimi decenni dello scorso secolo, con la nascita di gruppi archeo-speleologici locali che hanno fatto del sito il loro principale punto di ricerca (Busa et alii, questo volume, pp. 218-223). Trascinatore di questo gruppo è stato per decenni Federico Strobino, che ha costituito il punto di contatto dei gruppi locali con i centri di ricerca e conservazione nazionali (Binotti, questo volume, pp. 215-27). Il Monte
Fenera si presenta dunque come un unicum nel panorama naturalistico
e culturale delle Alpi centro-occidentali. Le sue potenzialità
sono state sfruttate sinora solo marginalmente. Dal 1980 esso è
stato incluso in un parco regionale; l’ente preposto si è
dato come obiettivo la gestione integrata del territorio, che possa
coniugare la tutela ambientale con soluzioni che permettano la permanenza
della popolazione sul monte (Di Natale e Torre, questo volume, pp.
257-266). Il paesaggio naturale è in realtà il risultato
di un lungo e costante mutamento, iniziato nel Paleolitico. La sua
preservazione passa inevitabilmente per il mantenimento di forme non
naturali, come prati, frutteti e pascoli, che perdendosi riducono
paradossalmente la biodiversità del monte. La permanenza di
queste forme potrà avvenire solo con la reintroduzione della
presenza umana in quei settori della montagna che risultano in progressivo
abbandono. |