Il Monte Fenera:
un unicum naturalistico e culturale nel settore Centro-Occidentale delle Alpi

Roberto Fantoni (CAI Varallo, Società Valsesiana di Cultura, Zeisciu Centro Studi)
Riccardo Cerri (CAI Varallo, Zeisciu Centro Studi)
Edoardo Dellarole (CAI Varallo, Società d’incoraggiamento allo studio del disegno e di conservazione delle opere d’arte in Valsesia)

Il Fenera è senza dubbio
il più bel monte delle nostre prealpi

(Bartolomeo Gastaldi, 1871)

Il Monte Fenera costituisce l’unico massiccio carbonatico presente sul versante meridionale delle Alpi centro-occidentali. Ad ovest del lago Maggiore la copertura sedimentaria delle Alpi Meridionali è infatti ridotta a pochi lembi di limitata estensione e di scarsa rappresentatività seriale (Fantoni et alii, 2004; questo volume, pp. 86-91).
Nello stesso territorio costituisce quindi l’unica area in cui la presenza di rocce carbonatiche ha consentito lo sviluppo di fenomeni carsici di dimensioni ragguardevoli (Testa, questo volume, pp. 152-163, con blibliografia), sviluppatosi durante il sollevamento della catena alpina e la formazione delle valli in età terziaria (Fantoni et alii, questo volume, pp. 130-142), analogamente a quanto documentato in altri sistemi carsici alpini (Bini & Zuccoli, questo volume, pp. 143-153).

La presenza di un sistema carsico con grotte ha permesso la frequentazione di animali (Santi et alii, questo volume, pp. 223-229, con bibliografia) e dell’uomo dal Paleolitico (Lo Porto, 1957; Guerreschi & Giacobini, 1998b; Strobino, 1981, 1997; Villa & Giacobini, questo volume, pp. 234-238, con bibliografia). Dal Neolitico la presenza umana è stata quasi costante (Gambari, questo volume, pp. 230-233). Ed anche quando la presenza umana sul monte ha perso le sue peculiarità, annullandosi nel resto del territorio dei monti di Seso (Bonardi, 1997; Gandino et alii, 1999), il monte e le sue grotte hanno sempre continuato a costituire una presenza mitologica per le popolazioni locali (Manini Calderini, questo volume, pp. 239-255).
L’ubicazione del monte in prossimità del margine padano, la peculiare rilevanza geomorfologica e l’esistenza di ambienti diversificati (Soldano, 2002; questo volume, pp.97-101) hanno favorito la presenza di una ricca avifauna (Bordignon, 2002; Bordignon & Contini, questo volume, pp. 114-118), tra cui spicca la cicogna nera (Bordignon, questo volume, pp. 119-122), che si integrano con una fauna comunque ricca e differenziata, dai grandi mammiferi (Aina, questo volume, pp. 110-113), agli invertebrati (Soldano; Pascutto, questo volume, pp. 123-128, 201-213).

L’evidenza morfologica del Monte Fenera, la sua peculiarità geologica e le sue testimonianze preistoriche vi hanno attirato i primi ricercatori locali. Il primo studio geologico in cui esso è citato risale al 1838. All'inizio del Novecento si potevano già contare cinque studi monografici sulla geologia di questo monte ed altre sei opere di carattere regionale che si erano estesamente soffermate su queste serie (Fantoni, questo volume, pp. 44-52). Allo stesso periodo risale la prima esplorazione speleologica del sistema carsico, auspicata da Pietro Calderini sin dal 1868 (Cossutta, questo volume, pp. 175-189), che proseguirà ininterrottamente sino ai nostri giorni (Cossutta & Ghielmetti, questo volume, pp. 189-200).

Nella seconda metà dell’Ottocento, in una società in grande fermento culturale (Barbano, 1960; Cagna, questo volume, pp. 28-30), il Fenera ha attirato l’attenzione dei naturalisti locali (Fantoni, questo volume, pp. 44-52). Un ruolo centrale in questa scoperta ha avuto Pietro Calderini, un personaggio estremamente eclettico nato e vissuto alla base del monte (Fantoni et alii, Bonola, questo volume, pp. 30-40, 41-43).
Grazie agli interessi differenziati di eruditi locali e ricercatori specializzati il materiale geologico, botanico e preistorico proveniente da questo territorio ha costituito la base per il primo museo valsesiano (Dellarole, questo volume, pp. 53-58). Pochi anni dopo il museo venne significativamente dedicato proprio al Calderini che per primo studiò il monte e ne raccolse i campioni destinati all’esposizione museale. L’attenzione della cultura valsesiana ottocentesca per il Fenera e per le sue collezioni è testimoniata dalle numerose pagine a loro dedicate sulla stampa locale (Martinetti; Mazzone, questo volume; pp. 59-75 , 75-81).

L’interesse verso il monte ha avuto un rilancio negli ultimi decenni dello scorso secolo, con la nascita di gruppi archeo-speleologici locali che hanno fatto del sito il loro principale punto di ricerca (Busa et alii, questo volume, pp. 218-223). Trascinatore di questo gruppo è stato per decenni Federico Strobino, che ha costituito il punto di contatto dei gruppi locali con i centri di ricerca e conservazione nazionali (Binotti, questo volume, pp. 215-27).

Il Monte Fenera si presenta dunque come un unicum nel panorama naturalistico e culturale delle Alpi centro-occidentali. Le sue potenzialità sono state sfruttate sinora solo marginalmente. Dal 1980 esso è stato incluso in un parco regionale; l’ente preposto si è dato come obiettivo la gestione integrata del territorio, che possa coniugare la tutela ambientale con soluzioni che permettano la permanenza della popolazione sul monte (Di Natale e Torre, questo volume, pp. 257-266). Il paesaggio naturale è in realtà il risultato di un lungo e costante mutamento, iniziato nel Paleolitico. La sua preservazione passa inevitabilmente per il mantenimento di forme non naturali, come prati, frutteti e pascoli, che perdendosi riducono paradossalmente la biodiversità del monte. La permanenza di queste forme potrà avvenire solo con la reintroduzione della presenza umana in quei settori della montagna che risultano in progressivo abbandono.
Le collezioni museali provenienti dal monte sono in attesa di sistemazione (Borgosesia) o di rilancio (Varallo) (Baiocco, questo volume, pp. 82-84). I musei regionali, che riproducono a scala ridotta temi espositivi presenti in quelli nazionali più affermati, rimangono spesso confinati nella realtà locale. Il Monte Fenera offre la possibilità di inserire questi istituti locali nell’ambito di un sistema di sedi espositive estremamente differenziato, distribuito capillarmente su un territorio a fortissima vocazione eco-museale (Casagrande, questo volume, pp 266-267).

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